Intervista a Gallino, dopo le parole di Epifani e le sospensioni in fabbrica dei lavoratori sindacalizzati o che denunciano insicurezza di Fabio Sebastiani
«Ogni morto è per noi una sconfitta. Quale è la nostra principale funzione se non quella di tutelare l'integrità, innanzitutto fisica, del lavoratore?». Non sono parole di un "pericoloso estremista" ma del segretario della Cgil Guglielmo Epifani che in un colloquio su Repubblica , ieri, ha puntato il dito nel ventre molle del sindacato moderno, il controllo delle condizioni di lavoro. La ricetta del leader della Cgil è quella di «un'autoriforma» del sindacato.
Detto a poche settimane dalla conferenza d'organizzazione è molto incoraggiante. «Un'autoriforma che ci porti a stare meglio e con più impegno dove siamo già presenti e a entrare in quel mondo delle piccole imprese che ci è ostico anche per l'assenza dei diritti. Dobbiamo superare le nostre pigrizie». Sull'impegno del sindacato nei luoghi di lavoro e sulle stesse condizioni di lavoro, Liberazione ha sentito il parere del professor Luciano Gallino, che proprio in queste settimane è uscito con un libro dal titolo molto indicativo, "Il lavoro non è una merce".
La vicenda Thyssenkrupp ma anche il richiamo della direzione aziendale di una fabbrica bergamasca a quel lavoratore che aveva fatto le sue rimostranze sulla sicurezza ci dicono che al di là di tante parole il nodo resta quello delle condizioni di lavoro. Qual è la sua opinione su questo?
Quello che è successo in queste settimane, in particolare il dramma della Tk, hanno fatto emergere e rendere più evidente una situazione che a quanti guardano da vicino il mondo della produzione e del lavoro è abbastanza nota. La produzione in molte fabbriche e in molte attività segue modelli organizzativi e ritmi che sono quelli di trenta o quaranta anni fa. E in molti casi sono ancora più intensi perché si usano mezzi ancora più sofisticati nel controllo dei tempi e dell'avanzamento della produzione. Situazioni che risalgono a parecchi anni fa, che questi incidenti hanno fatto emergere. Per certi aspetti è bene che se ne parli. In questo modo molti soggetti, sindacati compresi, sono costretti a prendere posizione.
L'Italia è una specie di cenerentola europea per quanto riguarda gli investimenti sull'innovazione e la stessa attenzione culturale e sociale alle condizioni di lavoro...
Farei notare che la situazione italiana ha certe caratteristiche negative in più, ma non lontanissime da quella di altri paesi. Anche in Francia, per esempio, i ritmi sono sostenutissimi e gli incidenti numerosi. La classe operaia è vista e considerata pochissimo. Se si prendono i discorsi dei leader durante la campagna presidenziale ed elettorale, gli operai sono stati forse menzionati tre volte su decine di discorsi. Siamo in presenza di una cappa opaca che copre gran parte dell'industria moderna. Negli altri paesi ci sono migliori salari e più produttività e non solo per i ritmi ma per l'innovazione e le invenzioni, e si fa più ricerca.
Quale ruolo potrebbe giocare lo Stato, il soggetto pubblico?
Il ruolo dello Stato è sempre importante in molte delle vicende industriali meglio riuscite. E' stato spesso determinante. Air France dieci anni fa era nelle condizioni dell'Alitalia ma l'intervento dello Stato ha fatto la differenza.
E il ruolo del sindacato?
Direi due cose, una a carico del sindacato e una a discarico. A carico del sindacato, direi che è stata lasciata cadere la grande questione della qualità del lavoro. Negli anni '70 oltre che i sociologi e anche parecchi imprenditori parlavano molto di qualità del lavoro e si sperimentavano nuove forme di organizzazione del lavoro, nuove mansioni, e c'era tanta crescita professionale. I nuovi modelli organizzativi dovevano permettere di superare l'alienazione del lavoro. Dopo, tutto ciò è stato lasciato cadere e sono state lasciate cadere le richieste e gli stessi studi. Prima c'era un grande interlocutore, il sindacato. Poi ha deciso di non esserlo più. Anche la stessa industria a partecipazione statale commissionava ricerche e si muoveva attivamente in questa direzione. C'era un interesse misto, l'interesse dei partiti e anche della difesa di un bene pubblico. Ciò fruttava una idea forte di relazioni industriali e un profilo medio-alto della produzione. Il sindacato parlava di qualità del lavoro.
Quale è stato l'elemento di divaricazione?
Il punto di divaricazione possiamo trovarlo proprio nell'elemento a discarico. Si tratta del periodo dell'emergenza e delle ristrutturazioni. Tutta la questione delle privatizzazioni, per esempio, ha fatto sì che laddove c'era una grande azienda questa veniva smembrata in quindici pezzi differenti come è accaduto all'Ansaldo. Il sindacato ha sempre avuto a che fare con situazioni emergenziali. Va detto questo, per tener conto che poi il concreto il mestiere del sindacalista è fatto ormai per nove decimi di queste cose.
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