da il Manifesto 13/11/2007
Marina Della Croce
Ci vorranno ancora due giorni per quantificare il disastro, ma per capire che una petroliera spezzata in mezzo al Mar Nero significa disastro ecologico non occorre aspettare dati empirici. Tanto più che - come ha rilevato ieri il Wwf - l'Ucraina «non sembra avere gli strumenti adeguati per affrontare e tamponare incidenti di questa portata. Il recupero del petrolio fuoriuscito è iniziata, ma la situazione meteorologica, con forte vento e tempeste persistenti, rende difficile ogni intervento». Intanto, secondo l'associazione ambientalista, c'è già chi ha perso la vita: 30 mila uccelli sarebbero morti a causa del ribaltamento della petroliera «Volganeft-139» e di quattro navi mercantili contenenti zolfo e materiali ferrosi. ma sono stati recuperati anche cinque cadaveri umani, ieri dalle autorità russe impegnate nell'azione di bonifica. Probabilmente, è stato riferito, si tratta di membri dell'equipaggio del mercantile Najichevan, recuperati, ancora con il giubbotto salvagente addosso, vicino alla penisola di Tuzla.
Intanto, sempre secondo il Wwf, sarebbero già 12 i chilometri di costa russa interessati dalle chiazze di petrolio. «Il recupero del petrolio fuoriuscito è iniziata, ma la situazione meteorologica, con forte vento e tempeste persistenti, rende difficile ogni intervento», fa sapere l'associazione. «Questo devastante incidente rischia di aggravare un' emergenza ambientale già conclamata nel Mar Nero, uno dei mari più inquinati e a rischio - dichiara Michele Candotti, segretario generale del Wwf Italia - si tratta di un incidente che invita ancora una volta ad aprire gli occhi sui rischi del commercio del petrolio, di cui il mare, nonostante decenni di gravissimi disastri ambientali, rimane come sempre la vittima sacrificale».
Ma ciò che è accaduto poteva essere evitato? Si tratta davvero semplicemente di un tragico incidente dovuto alle pessime condizioni metereologiche riscontrate domenica sul Mar Nero? Venti che soffiavano fino a 100 chilometri all'ora e onde alte più di cinque metri hanno trasformato in un inferno la zona del porto russo di Kavkaz, uno dei principali nello stretto di Kerch, che collega il Mare di Azov e il Mar Nero. Insomma, una situazione impossibile da governare, che ha portato al disastro. Ma l'associazione ambientalista richiama a responsabilità precise: «Tutti erano stati avvertiti del sopraggiungere di una tempesta entro l'11 novembre, ma nessuno ha dato l'ordine di trasferire in posti sicuri le navi con carichi velenosi», sottolinea Oleg Tsaruk, responsabile del Wwf Russia/Caucaso. Mentre Alexey Knizhnikov, responsabile del Programma Petrolio e gas, spiega: «L'incidente è una conseguenza naturale quando navi costruite per i fiumi vengono fatte navigare in mare. le navi da mare, infatti, non possono entrare nei fiumi Don e Volga a causa della scarsa portata d'acqua, e nello Stretto di Kerch trasferiscono i loro carichi su navi da fiume. Queste ultime, però, non sono in grado di sostenere la forza delle tempeste marine».
Intanto, sempre secondo il Wwf, sarebbero già 12 i chilometri di costa russa interessati dalle chiazze di petrolio. «Il recupero del petrolio fuoriuscito è iniziata, ma la situazione meteorologica, con forte vento e tempeste persistenti, rende difficile ogni intervento», fa sapere l'associazione. «Questo devastante incidente rischia di aggravare un' emergenza ambientale già conclamata nel Mar Nero, uno dei mari più inquinati e a rischio - dichiara Michele Candotti, segretario generale del Wwf Italia - si tratta di un incidente che invita ancora una volta ad aprire gli occhi sui rischi del commercio del petrolio, di cui il mare, nonostante decenni di gravissimi disastri ambientali, rimane come sempre la vittima sacrificale».
Ma ciò che è accaduto poteva essere evitato? Si tratta davvero semplicemente di un tragico incidente dovuto alle pessime condizioni metereologiche riscontrate domenica sul Mar Nero? Venti che soffiavano fino a 100 chilometri all'ora e onde alte più di cinque metri hanno trasformato in un inferno la zona del porto russo di Kavkaz, uno dei principali nello stretto di Kerch, che collega il Mare di Azov e il Mar Nero. Insomma, una situazione impossibile da governare, che ha portato al disastro. Ma l'associazione ambientalista richiama a responsabilità precise: «Tutti erano stati avvertiti del sopraggiungere di una tempesta entro l'11 novembre, ma nessuno ha dato l'ordine di trasferire in posti sicuri le navi con carichi velenosi», sottolinea Oleg Tsaruk, responsabile del Wwf Russia/Caucaso. Mentre Alexey Knizhnikov, responsabile del Programma Petrolio e gas, spiega: «L'incidente è una conseguenza naturale quando navi costruite per i fiumi vengono fatte navigare in mare. le navi da mare, infatti, non possono entrare nei fiumi Don e Volga a causa della scarsa portata d'acqua, e nello Stretto di Kerch trasferiscono i loro carichi su navi da fiume. Queste ultime, però, non sono in grado di sostenere la forza delle tempeste marine».
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