Rientra nel reato di estorsione sfruttare lavoratori in nero, minacciandoli di licenziamento se non acconsentono alle condizioni imposte dal datore di lavoro, favorito dalla situazione del mercato dell'occupazione. Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna a tre anni, sei mesi e ottocento euro di multa per estorsione aggravata e continuata inflitta dalla Corte di Appello di Cagliari (sezione distaccata di Sassari) a tre persone titolari di una azienda a gestione familiare.
I giudici di Secondo grado avevano ribaltato il verdetto di assoluzione emesso dal Tribunale di Nuoro, rilevando che gli imputati "avevano posto in essere una serie di comportamenti estorsivi nei confronti di proprie lavoratrici dipendenti, costringendole ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all'offerta e, quindi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro".
In particolare, le lavoratrici dipendenti erano state assunte senza libretto di lavoro, non avevano ricevuto copertura assicurativa (tranne una e per un breve periodo), non avevano goduto ferie ne' percepito corrispettivi per lavoro straordinario e firmavano prospetti-paga indicanti importi superiori a quelli percepiti. Una dipendente, inoltre, era stata indotta a sottoscrivere un contratto di associazione in partecipazione, senza che la sua qualita' fosse mutata, nonche' costretta a mentire sulla propria posizione agli ispettori del lavoro, oltre che a firmare una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilita', con il fidanzato, di un furto di capi di abbigliamento subiti dall'azienda.
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