da il Manifesto 5/10/2007
Il 12,9% della popolazione vive con meno di 500 euro al mese. Lo dice il rapporto diffuso ieri dall'Istat sulla «povertà relativa». Una fotografia che racconta del disagio di una parte sempre più consistente del paese. E che forse sottostima la realtà
Il 12,9% della popolazione vive con meno di 500 euro al mese. Lo dice il rapporto diffuso ieri dall'Istat sulla «povertà relativa». Una fotografia che racconta del disagio di una parte sempre più consistente del paese. E che forse sottostima la realtà
Sara Farolfi
Roma
L'11% delle famiglie italiane vive in condizioni di povertà. Oltre 7,5 milioni di persone, il 12,9% dell'intera popolazione. Questo dicono i dati diffusi ieri dall'istituto di statistica (Istat) sulla «povertà relativa» nel 2006. E la povertà non cambia volto: negli ultimi quattro anni, le famiglie più in difficoltà vivono nel mezzogiorno, hanno un basso livello di istruzione, bassi profili professionali o sono esclusi dal mercato del lavoro. Rispetto al 2005 invece, aumenta l'incidenza della povertà, al Nord, tra gli anziani soli. «Una vera emergenza - secondo il ministro Ferrero - Che dicono che quanto fatto dal governo non è ancora sufficiente rispetto ai bisogni del paese».
L'Istat parla però di povertà relativa. E diffonde i dati prodotti con metodo campionario (e non censuario) su un campione di 28 mila famiglie, a rischio per ciò stesso di sottostima rispetto alla realtà. Quale famiglia viene considerata «relativamente» povera dall'istituto di statistica dunque? Il dato viene prodotto sulla base della spesa media mensile per persona, che rappresenta la soglia di povertà per una famiglia di due componenti. Secondo l'Istat si tratta di 970 euro al mese (ma tra i consumi non vengono considerati mutui, assicurazioni e spese per manutenzione straordinaria per la casa). La persona che spende la metà o meno della metà di tale somma, è «relativamente povero».
Sulla base di questi dati, dice l'Istat, nel 2006 circa un milione e 142 mila famiglie (il 4,8% delle famiglie residenti), risultano «sicuramente» povere, con livelli di spesa mensile inferiori alla linea standard di oltre il 20%. E i tre quarti di queste famiglie vivono al Sud.
I dati ci dicono dunque ancora una volta della forbice che esiste tra il Nord e il Sud del paese. Basta prendere ad esempio l'indicatore statistico sull'intensità della povertà. Decisamente alto come media nazionale (20,8%), e frutto di una media tra il 17,8% del Nord, il 16,9% del Centro e il 22,5% del Sud. Nel mezzogiorno, oltre il 22% delle famiglie risulta sotto la linea di povertà, dato che equivale al 65% del totale delle famiglie povere.
Quali caratteristiche hanno queste famiglie «relativamente» povere? Si lega indissolubilmente al disagio economico la presenza, nel nucleo familiare, di più figli: l'incidenza della povertà, pari al 14,5% tra le coppie con due figli e al 25,6% tra quelle con tre, sale rispettivamente al 17,2% e al 30,2% quando i figli sono di età inferiore ai 18 anni. Meno diffusa in generale è la povertà tra nuclei familiari senza figli (il 13,8% è povero, nel mezzogiorno una famiglia su quattro), anche se i dati dicono che si tratta di un rischio in crescita al Nord. Ancora più evidente è il disagio tra le famiglie con persone anziane (dove l'incidenza della povertà sale di oltre due punti percentuali rispetto alla media nazionale).
La condizione lavorativa (e la presenza o meno di titoli di studio) naturalmente si associa strettamente all'incidenza del fenomeno. E anche qui emerge una consistente differenza tra Nord e Sud del paese, il basso livello di istruzione essendo spesso associato alla difficoltà di trovare un'occupazione. Se a capo della famiglia c'è una persona in cerca di lavoro, l'incidenza di povertà raggiunge il 28,2% (ma il 38,2% nel mezzogiorno), un valore doppio rispetto a quello osservato nel caso in cui la persona di riferimento è ritirato dal lavoro, e di oltre tre volte superiore a quello osservato tra famiglie di occupati. Dice ancora l'Istat che tra le famiglie di lavoratori dipendenti l'incidenza del fenomeno è inferiore alla media nazionale, ma il discorso cambia decisamente di segno se la persona di riferimento è un operaio.
Infine, il confronto rispetto all'anno precedente. Tra il 2005 e il 2006 l'incidenza della povertà è rimasta sostanzialmente stabile. Ma al Nord e al Centro, il miglioramento della condizione degli anziani osservato negli anni precedenti, ha subìto una battuta d'arresto.
Non manca comunque chi polemizza con i dati diffusi ieri dall'istituto di statistica. «La povertà relativa è una misura che poco o nulla dice in ordine all'indigenza del paese, visto che in una comunità di ricchi, il meno ricco risulterebbe relativamente povero», nota la segreteria Usi Rdb del comparto ricerca.
L'Istat parla però di povertà relativa. E diffonde i dati prodotti con metodo campionario (e non censuario) su un campione di 28 mila famiglie, a rischio per ciò stesso di sottostima rispetto alla realtà. Quale famiglia viene considerata «relativamente» povera dall'istituto di statistica dunque? Il dato viene prodotto sulla base della spesa media mensile per persona, che rappresenta la soglia di povertà per una famiglia di due componenti. Secondo l'Istat si tratta di 970 euro al mese (ma tra i consumi non vengono considerati mutui, assicurazioni e spese per manutenzione straordinaria per la casa). La persona che spende la metà o meno della metà di tale somma, è «relativamente povero».
Sulla base di questi dati, dice l'Istat, nel 2006 circa un milione e 142 mila famiglie (il 4,8% delle famiglie residenti), risultano «sicuramente» povere, con livelli di spesa mensile inferiori alla linea standard di oltre il 20%. E i tre quarti di queste famiglie vivono al Sud.
I dati ci dicono dunque ancora una volta della forbice che esiste tra il Nord e il Sud del paese. Basta prendere ad esempio l'indicatore statistico sull'intensità della povertà. Decisamente alto come media nazionale (20,8%), e frutto di una media tra il 17,8% del Nord, il 16,9% del Centro e il 22,5% del Sud. Nel mezzogiorno, oltre il 22% delle famiglie risulta sotto la linea di povertà, dato che equivale al 65% del totale delle famiglie povere.
Quali caratteristiche hanno queste famiglie «relativamente» povere? Si lega indissolubilmente al disagio economico la presenza, nel nucleo familiare, di più figli: l'incidenza della povertà, pari al 14,5% tra le coppie con due figli e al 25,6% tra quelle con tre, sale rispettivamente al 17,2% e al 30,2% quando i figli sono di età inferiore ai 18 anni. Meno diffusa in generale è la povertà tra nuclei familiari senza figli (il 13,8% è povero, nel mezzogiorno una famiglia su quattro), anche se i dati dicono che si tratta di un rischio in crescita al Nord. Ancora più evidente è il disagio tra le famiglie con persone anziane (dove l'incidenza della povertà sale di oltre due punti percentuali rispetto alla media nazionale).
La condizione lavorativa (e la presenza o meno di titoli di studio) naturalmente si associa strettamente all'incidenza del fenomeno. E anche qui emerge una consistente differenza tra Nord e Sud del paese, il basso livello di istruzione essendo spesso associato alla difficoltà di trovare un'occupazione. Se a capo della famiglia c'è una persona in cerca di lavoro, l'incidenza di povertà raggiunge il 28,2% (ma il 38,2% nel mezzogiorno), un valore doppio rispetto a quello osservato nel caso in cui la persona di riferimento è ritirato dal lavoro, e di oltre tre volte superiore a quello osservato tra famiglie di occupati. Dice ancora l'Istat che tra le famiglie di lavoratori dipendenti l'incidenza del fenomeno è inferiore alla media nazionale, ma il discorso cambia decisamente di segno se la persona di riferimento è un operaio.
Infine, il confronto rispetto all'anno precedente. Tra il 2005 e il 2006 l'incidenza della povertà è rimasta sostanzialmente stabile. Ma al Nord e al Centro, il miglioramento della condizione degli anziani osservato negli anni precedenti, ha subìto una battuta d'arresto.
Non manca comunque chi polemizza con i dati diffusi ieri dall'istituto di statistica. «La povertà relativa è una misura che poco o nulla dice in ordine all'indigenza del paese, visto che in una comunità di ricchi, il meno ricco risulterebbe relativamente povero», nota la segreteria Usi Rdb del comparto ricerca.
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