Intervista a Daniele Luttazzi, che spiega le sue critiche al Grillo «leader politico» e non più attore satirico
Un monologo è diverso da un comizio. Io sono d'accordo sulla manifestazione del 20 ottobre e nel mio spettacolo parlo di molte cose emerse a Bologna, ma non dico alla gente: seguitemi questa è la via
da Il Manifesto 14/09/2007
Norma Rangeri
Il vero detonatore è stato lui, Daniele Luttazzi, quando, nel 2001, nella Raidue di Carlo Freccero, fece saltare i nervi al potere intervistando Marco Travaglio sull'Odore dei soldi, il libro sulle origini delle fortune di Silvio Berlusconi, che il giornalista aveva scritto con Elio Veltri. La sua satira, tagliente e senza trucchi di scena, con lo stile del talk-show alla Letterman, applicata alla palude della politica italiana ebbe poi un effetto domino sulla bulgarizzazione della Rai. La satira fu abolita e l'informazione dei Biagi e dei Santoro messa al bando.
Oggi la sua grinta politica si esprime nei teatri, sempre affollati di spettatori che pagano il biglietto per ascoltarlo in Barracuda 2007 (a Roma il 12 e 13 ottobre). Luttazzi torna sul caso-Grillo. Per spiegare il suo punto di vista sul potere e il populismo, l'arte e la politica. Per non essere strumentalizzato, come scrive sul suo Blog, da chi lo usa versus Grillo. Le sue obiezioni alle ultime iniziative del comico genovese non sono generiche ma circostanziate, puntuali, relative a singoli aspetti di quel che è accaduto nei giorni scorsi nella grande piazza bolognese. E la prima domanda è obbligatoria:
Perché riempire una piazza è così diverso dal riempire un teatro?
Perché l'arte ha tempi diversi e non parla alla pancia.
Davanti alla folla di Bologna forse Grillo non ha fatto satira?
La satira non organizza, esprime opinioni personali. Grillo ha un progetto e una struttura e quando hai le due cose hai un partito. Allora devi sciogliere l'ambiguità. È sbagliato dire «se volessi, potrei portare a Roma tre milioni di persone». Diventa demagogia, populismo. Non metto in discussione che Grillo possa fare quello che fa, però l'ambiguità è lesiva, sia sul versante politico sia sul versante artistico-satirico. I suoi sono spettacoli o sono comizi? Io sono d'accordo sulla manifestazione del 20 ottobre, nel mio monologo parlo di un sacco di cose che poi sono emerse in piazza a Bologna. Poi però non organizzo le persone dicendo loro: seguitemi questa è la via. La satira esprime dubbi.
Il punto di svolta di Grillo è nell'aver chiamato le persone a sottoscrivere una iniziativa di legge?
Il punto di svolta è nel fingere che non ci sia ambiguità tra fare monologhi satirici e organizzare un movimento politico come leader. E sono evidenti i passi falsi compiuti da Grillo e dai suoi seguaci.
Di quali passi falsi parli?
Se tu pensi all'attacco che improvvisamente, dal suo Blog, fece alla legge che finanziava l'editoria... se la prese con giornali come Mucchio Selvaggio (e anche con il manifesto, ndr.) che è un giornale nobilissimo, che ha sempre sostenuto le battaglie di Grillo. Lui non sapeva neanche cosa fosse Mucchio Selvaggio. Quindi si rischia di sparare nel mucchio. Ma non è tanto questo. Quando l'Espresso, all'epoca di Satyricon, mise in copertina «Vota Luttazzi», ho sentito la lusinga del potere. Puoi dire o.k., diventi leader di un movimento di opinione. Però devi dichiararlo. A quel punto non sei più un autore satirico.
Grillo sostiene di essere un detonatore, di non voler fare il politico.
Dice di non volerlo fare ma lo fa. Comprare una pagina del Corriere della sera intitolata: «Antonio Fazio vattene» non è una mossa satirica, è una mossa partitica, politica. La satira fa politica, lo sappiamo, ma qui c'è un'organizzazione politico-partitica che è una cosa diversa.
Lui adesso è il leader di un movimento politico.
Un leader populista e demagogo?
Io non dico genericamente Grillo è demagogico, dico là è demagogico, qui è populista. Le intenzioni sono buone ma è proprio per non danneggiarle che bisogna fare attenzione ai passi che si fanno, altrimenti si fanno cavolate.
Questa confusione di ruoli tra attori e politici, tra satira e movimenti di piazza, sarà causata anche dal fatto che la libertà di satira è stata bandita dalla Rai?
Quando nominarono Petruccioli, Cappon e Leone, a domande precise sul rientro di Luttazzi in Rai, loro risposero che il problema non era all'ordine del giorno. Loro vedono la satira come un problema, non come l'espressione di un diritto. Impediscono al pubblico di godere di un'informazione di tipo satirico. Benissimo.
La prossima settimana il senato discuterà dell'ultima bomba, la nomina di Fabiano Fabiani in Cda, scoppiata nel consiglio di amministrazione della Rai. Che opinione ti sei fatto?
Le beghe interne Rai ci sono sempre state e non si risolvono perché i partiti utilizzano la Rai come cassa di risonanza personale, vedi i vari programmi con ospiti politici. L'allontanamento dei partiti dalla Rai è pura utopia.
Toglierli sarebbe una rivoluzione, ci sono sempre stati...
Risponde alla concezione etica di Bernabei. Loro non pensano a una Rai che, autonomamente, dia spazio alle voce della nazione italiana, pensano a un'emittente che elargisce prodotti omogeneizzati e predigeriti. E gli ascolti vanno giù. Finalmente si sa che Raidue è stato un disastro, è ufficiale.
Perché non sei tornato in tv? Qualche proposta c'era stata...
Ho aspettato tutti questi anni ad accettare proposte tipo quelle de La7, perché fosse chiaro che anche con il cambio di governo comunque la cosa non cambiava. Non volevo dargli l'alibi di dire: ecco volevamo chiamarlo ma lui è andato a La7.
Ecco uno dei pochi che in Italia non guarda al portafoglio. Verrebbe quasi voglia di proporgli di fondare un partito.
Oggi la sua grinta politica si esprime nei teatri, sempre affollati di spettatori che pagano il biglietto per ascoltarlo in Barracuda 2007 (a Roma il 12 e 13 ottobre). Luttazzi torna sul caso-Grillo. Per spiegare il suo punto di vista sul potere e il populismo, l'arte e la politica. Per non essere strumentalizzato, come scrive sul suo Blog, da chi lo usa versus Grillo. Le sue obiezioni alle ultime iniziative del comico genovese non sono generiche ma circostanziate, puntuali, relative a singoli aspetti di quel che è accaduto nei giorni scorsi nella grande piazza bolognese. E la prima domanda è obbligatoria:
Perché riempire una piazza è così diverso dal riempire un teatro?
Perché l'arte ha tempi diversi e non parla alla pancia.
Davanti alla folla di Bologna forse Grillo non ha fatto satira?
La satira non organizza, esprime opinioni personali. Grillo ha un progetto e una struttura e quando hai le due cose hai un partito. Allora devi sciogliere l'ambiguità. È sbagliato dire «se volessi, potrei portare a Roma tre milioni di persone». Diventa demagogia, populismo. Non metto in discussione che Grillo possa fare quello che fa, però l'ambiguità è lesiva, sia sul versante politico sia sul versante artistico-satirico. I suoi sono spettacoli o sono comizi? Io sono d'accordo sulla manifestazione del 20 ottobre, nel mio monologo parlo di un sacco di cose che poi sono emerse in piazza a Bologna. Poi però non organizzo le persone dicendo loro: seguitemi questa è la via. La satira esprime dubbi.
Il punto di svolta di Grillo è nell'aver chiamato le persone a sottoscrivere una iniziativa di legge?
Il punto di svolta è nel fingere che non ci sia ambiguità tra fare monologhi satirici e organizzare un movimento politico come leader. E sono evidenti i passi falsi compiuti da Grillo e dai suoi seguaci.
Di quali passi falsi parli?
Se tu pensi all'attacco che improvvisamente, dal suo Blog, fece alla legge che finanziava l'editoria... se la prese con giornali come Mucchio Selvaggio (e anche con il manifesto, ndr.) che è un giornale nobilissimo, che ha sempre sostenuto le battaglie di Grillo. Lui non sapeva neanche cosa fosse Mucchio Selvaggio. Quindi si rischia di sparare nel mucchio. Ma non è tanto questo. Quando l'Espresso, all'epoca di Satyricon, mise in copertina «Vota Luttazzi», ho sentito la lusinga del potere. Puoi dire o.k., diventi leader di un movimento di opinione. Però devi dichiararlo. A quel punto non sei più un autore satirico.
Grillo sostiene di essere un detonatore, di non voler fare il politico.
Dice di non volerlo fare ma lo fa. Comprare una pagina del Corriere della sera intitolata: «Antonio Fazio vattene» non è una mossa satirica, è una mossa partitica, politica. La satira fa politica, lo sappiamo, ma qui c'è un'organizzazione politico-partitica che è una cosa diversa.
Lui adesso è il leader di un movimento politico.
Un leader populista e demagogo?
Io non dico genericamente Grillo è demagogico, dico là è demagogico, qui è populista. Le intenzioni sono buone ma è proprio per non danneggiarle che bisogna fare attenzione ai passi che si fanno, altrimenti si fanno cavolate.
Questa confusione di ruoli tra attori e politici, tra satira e movimenti di piazza, sarà causata anche dal fatto che la libertà di satira è stata bandita dalla Rai?
Quando nominarono Petruccioli, Cappon e Leone, a domande precise sul rientro di Luttazzi in Rai, loro risposero che il problema non era all'ordine del giorno. Loro vedono la satira come un problema, non come l'espressione di un diritto. Impediscono al pubblico di godere di un'informazione di tipo satirico. Benissimo.
La prossima settimana il senato discuterà dell'ultima bomba, la nomina di Fabiano Fabiani in Cda, scoppiata nel consiglio di amministrazione della Rai. Che opinione ti sei fatto?
Le beghe interne Rai ci sono sempre state e non si risolvono perché i partiti utilizzano la Rai come cassa di risonanza personale, vedi i vari programmi con ospiti politici. L'allontanamento dei partiti dalla Rai è pura utopia.
Toglierli sarebbe una rivoluzione, ci sono sempre stati...
Risponde alla concezione etica di Bernabei. Loro non pensano a una Rai che, autonomamente, dia spazio alle voce della nazione italiana, pensano a un'emittente che elargisce prodotti omogeneizzati e predigeriti. E gli ascolti vanno giù. Finalmente si sa che Raidue è stato un disastro, è ufficiale.
Perché non sei tornato in tv? Qualche proposta c'era stata...
Ho aspettato tutti questi anni ad accettare proposte tipo quelle de La7, perché fosse chiaro che anche con il cambio di governo comunque la cosa non cambiava. Non volevo dargli l'alibi di dire: ecco volevamo chiamarlo ma lui è andato a La7.
Ecco uno dei pochi che in Italia non guarda al portafoglio. Verrebbe quasi voglia di proporgli di fondare un partito.
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