di Francesco Piccioni
su Il Manifesto del 18/09/2007
Non accade spesso che una grande azienda multinazionale dai bilanci super (4 miliardi di euro di utili nel 2006) decida di cedere «rami» della propria azienda. Specie se tra questi c'è un servizio considerato - nelle apposite classifiche - sempre al primo posto. Ma in Vodafone è successo. Ben 914 addetti dei call center aziendali (i settori customer care, credito, customer business) saranno ceduti a Comdata, azienda non a caso specializzata nell'«outsourcing innovativo».Le indiscrezioni uscite su IlSole24ore venerdì scorso hanno trovato conferma ieri mattina, quando la società inglese ha avviato ufficialmente la procedura sindacale che dovrebbe chiudersi - secondo le intenzioni - entro novembre. I centri produttivi direttamente interessati sono stati localizzati a Padova, Ivrea, Milano, Roma e Napoli. Ma in tutte le sedi Vodafone si sono imediatamente riunite assemblee spontanee dei dipendenti, in cui la parola d'ordine è stata naturalmente «sciopero». Trattandosi di un settore sottoposto alla legislazione sui servizi pubblici (paradossale, visto che si tratta di una società privata), la procedura è abbastanza laboriosa e complessa.
Vodafone è consapevole di dover affrontare un periodo di conflitto sindacale, ma è convinta della sua «strategia», tesa a portare fuori dal perimetro aziendale la «aree di competenza» che sul mercato vengono meglio coperte da altre imprese. L'intento, spiegano, «è creare un modello industriale che sia di riferimento per il settore», ma giurano anche di voler mantenere per chi è in uscita «la piena tutela delle garanzie contrattuali». Per questo motivo sarebbe stata scelta Comdata, con cui la collaborazione è avviata da tempo, e che darebbe ampie garanzie in questo senso. L'accordo - in via di negoziazione - dovrebbe essere «a lungo termine», e non di durata annuale, come avvenuto in diversi casi dello stesso tipo.
I sindacati hanno immediatamente giudicato il progetto «inaccettabile», anche se Vodafone sostiene di aver parlato con tutte le organizzazioni sindacali riscontrando punti di vista diversi, ma non chiusure totali. Resta invece nei dipendenti «l'indignazione» per una scelta che risulta incomprensibile. La «cessione di ramo d'azienda» è diventata infatti una prassi comune «grazie» alla famigerata «legge 30», che anche il governo attualmente in carico fa mostra di voler mantenere intatta. Prima, infatti, c'erano diversi vincoli legislativi - tipo la constatazione di uno «stato di crisi» - che ne limitavano l'uso. Con la «legge 30», invece, questi limiti sono stati abbattuti e le aziende si stanno ingegnando nell'abbattere taluni costi «esternalizzando» buona parte delle proprie attività.
Un gruppo di delegati parla apertamente di «modello inglese», dove l'azienda mantiene come dipendenti pochissime persone. Le «garanzie contrattuali», in caso di vendita di parte dell'azienda, va dai due ai cinque anni di mantenimento dello stesso inquadramento (livello, qualifica, salario). Dopo di che tutto può accadere. E' chiaro infatti che il grado di solidità di una multinazionale come Vodafone è parecchio diversa da quella delle innumerevoli società di «outsourcing innovativo» cresciute come funghi in questi anni per fare - come dicono alcuni sindacalisti - «il lavoro sporco» che molte imprese delegano volentieri per non subire danni di immagine. Il gruppo più grande e noto, grazie anche alla lunga lotta dei precari in Atesia, è certamente Almaviva, dell'«ulivista» Alberto Tripi.
Sembra perciò che si sia aperta una nuova fase, in cui le grandi imprese di telefonia dismettono completamente l'infrastruttura di «rapporto con il cliente» (ma non era «centrale»?). In questo senso, la mossa Vodafone può diventare davvero un precedente che fa scuola. Molto dipenderà dalla reazione dei lavoratori. Nelle assemblee si è parlato anche di sciopero a oltranza e di iniziative molto «visibili» in tutte le città interessate dall'operazione.
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