giovedì 17 gennaio 2008

Ecco perché la visita di Ratzinger era inopportuna

di Fabio de Nardis*


La mancata visita di Papa Ratzinger in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Roma “La Sapienza” ha sollevato un calderone e un accanimento mediatico e politico nei confronti di coloro – studenti e scienziati – che si sono opposti apertamente alla scelta del Rettore di far sostenere la lectio magistralis al papa teologo. Rifondazione Comunista ha subito preso posizione criticando la scelta del Rettore e affermando l’inopportunità dell’evento. Oggi però rifiutiamo di accettare passivamente le accuse di intolleranza che da più parti, anche a sinistra, vengono rivolte a chi legittimamente ha espresso il proprio dissenso. Sentiamo dunque l’esigenza di argomentare la nostra posizione. Tanto per cominciare nessuno ha mai affermato che Benedetto XVI non possa intervenire in un’Università pubblica dello Stato italiano. È e sarà sempre il benvenuto, come lo è stato il suo predecessore e qualsiasi altro leader religioso. Abbiamo piuttosto criticato il contesto e l’occasione scelta, cioè l’inaugurazione dell’anno accademico della più grande istituzione universitaria d’Europa, un evento che inevitabilmente assume un alto valore simbolico e politico.

La presenza del Papa era inopportuna per due ordini di ragioni: uno di metodo e l’altro di merito. In primo luogo, non è chiaro a che titolo avrebbe svolto una lezione magistrale, se come capo religioso o come capo di Stato. Nel primo caso, sarebbe stato quantomeno anomalo, visto che per consuetudine tale onore, che è anche un onere, è affidato a coloro che si sono particolarmente distinti nel campo delle scienze a livello nazionale e internazionale. Nel secondo caso, la scelta sarebbe stata altrettanto impropria più o meno per la stessa ragione. In entrambi i casi, la contestazione a un uomo pubblico è legittima e rientra nelle libertà democratiche che gli studenti vivono appieno, riappropriandosi anche solo simbolicamente degli spazi e dei luoghi dove realizzano almeno momentaneamente il proprio orizzonte esistenziale. Intollerante è l’atteggiamento di chi nega la democraticità del dissenso, anche quando espresso attraverso le forme e i modi che legittimamente gli studenti e i docenti della Sapienza si sono dati. In secondo luogo, la presenza del Pontefice, in quella particolare occasione, sarebbe stata inopportuna per ciò che egli esprime sul piano propriamente culturale. Joseph Ratzinger ha recentemente negato i presupposti culturali che hanno determinato la nascita della civiltà moderna nonché di quella idea di progresso e autodeterminazione individuale e collettiva che essa ha incorporato, e di cui l’Università pubblica è necessariamente espressione.


Nell’ultima enciclica papale, la “Spe Salvi”, egli si accanisce apertamente contro la modernità che, e cito testualmente, “con Bacone opera una trasformazione della fede-speranza cristiana che si svilupperà con l’Illuminismo, Kant e Marx […] Due categorie entrano sempre più al centro dell’idea di progresso: ragione e libertà”. E il progresso viene dunque identificato “nel crescente dominio della ragione” che con la Rivoluzione francese assume anche un carattere politico. Conclude Ratzinger: “Ma quando è che la ragione domina veramente? Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione del potere e del fare è già la ragione intera? Se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell’umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l’apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male […] La ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione […] Chi non conosce Dio pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranze”.


Ora. Crediamo che il Papa possa e debba legittimamente esprimere le sue opinioni. Ma proprio per il grande rispetto che noi riponiamo verso la sua persona e verso l’istituzione che rappresenta, consci dell’influenza che egli esercita sulle coscienze delle donne e degli uomini, crediamo che tali affermazioni debbano essere oggetto di confronto e non di una lezione magistrale in una grande istituzione di alta formazione che trae linfa da un modello culturale alternativo a quello espresso dal Pontefice, riconoscendo l’indiscusso valore storico di quel processo che noi moderni chiamiamo modernità, grazie a cui gli individui, senza rinunciare alla propria spiritualità, hanno relegato la religione alla dimensione privata dell’esistenza. Si “indìano”, come avrebbe detto Dante, cioè si fanno essi stessi Dio ponendosi al centro della società come produttori materiali e culturali della propria vita sociale. Su queste argomentazioni auspichiamo che il Pontefice possa quanto prima intervenire alla Sapienza o in qualsiasi altra Università ma per discutere, non indottrinare, e al contempo rinnoviamo la nostra solidarietà a quei giovani che in questi giorni hanno rivendicato il proprio diritto di cittadinanza esprimendo un legittimo dissenso.


*Coordinatore Dipartimento Università Ricerca Prc-Se

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