di Martina Toti
su Rassegna sindacale del 14/12/2007
Luca lavora in un grande policlinico romano da tre anni. Ha sempre avuto contratti precari, ma nell’ultimo anno non ha avuto neanche quello. Il suo stipendio - sempre uguale a se stesso - continua a essere versato sul suo conto in banca, ma di accordi scritti neanche l’ombra. Si innervosisce quando parla del lavoro, poi interviene la fidanzata – futura moglie, dato che l’anno prossimo si sposeranno – e ci confida: “Speriamo bene, in fondo sembrerebbe un tacito accordo.” I taciti accordi, però, sono molti: “In amministrazione – spiega Luca – saremo almeno una trentina senza contratto firmato.”
La sanità è uno dei settori pubblici che risente di più della precarizzazione.
Quando telefoniamo alla Funzione pubblica, in Cgil, ci dicono di partire da lì o dagli enti locali se vogliamo farci un’idea della situazione. In effetti, secondo gli ultimi dati Eurispes, “le Regioni, le Autonomie locali e il Servizio Sanitario Nazionale sono i settori che fanno maggiormente ricorso all’assunzione di personale a tempo determinato”. Ne abbiamo chiesto il perché a Michele Gentile, coordinatore del dipartimento settori pubblici della CGIL, con cui abbiamo discusso del precariato pubblico e che ci ha spiegato che “oltre al fatto che sanità ed enti locali sono i settori più grandi, i vincoli determinati dal blocco delle assunzioni hanno fatto sì che l’unica possibilità per coprire i posti fosse quella offerta dai contratti a tempo determinato”.
Gli ultimi dati disponibili sul settore pubblico nel suo complesso risalgono al 2005 e sono stati elaborati all’inizio di quest’anno dalla Ragioneria generale dello Stato: si parla di più di mezzo milione di lavoratori precari – che rappresentano un nono del totale della forza lavoro atipica, 4 milioni e mezzo di persone. Tra il 2001 e il 2005 la precarietà nell’amministrazione pubblica è cresciuta del 26%.
Dopo gli accordi, le intese sindacali, le tante proteste che si sono succedute negli ultimi anni, la finanziaria 2008 in via di approvazione prevede – previa selezione - l’assunzione di una parte dei precari del settore che hanno lavorato per almeno tre anni tra il settembre 2002 e il settembre 2007. Cosa succederà a chi entrerà nella pubblica amministrazione in futuro? Secondo Gentile “in linea teorica, la nuova finanziaria bloccherebbe la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato, tranne in alcuni casi specifici come le sostituzioni o i lavori stagionali”, limitando così la crescita del precariato pubblico.
Intanto le informazioni che si ricavano dal Rapporto 2007 pubblicato dall’Isfol non sono rassicuranti. L’indagine delinea, ad esempio, un quadro del lavoro femminile quanto meno sconcertante: una donna su quattro ha un contratto a termine, le donne vengono retribuite meno (circa il 25% in meno rispetto ai colleghi uomini), e il 58,6% delle lavoratrici intervistate dichiara di non aver mai cambiato occupazione nel corso della propria vita professionale. Nel settore pubblico si registra un’alta percentuale di lavoratrici con picchi superiori rispettivamente al 60% e al 75% nel servizio sanitario e nella scuola; per loro i contratti atipici potrebbero dimostrarsi una trappola. “È chiaro – ci spiega Gentile – che, come dimostrano anche i dati più generali, l’occupazione femminile è il punto più debole del nostro mercato del lavoro. Ovviamente nella pubblica amministrazione, dove le donne sono di più, è facile che tra loro sia maggiore anche l’incidenza del lavoro flessibile.”
Altre trappole. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Censis nel Rapporto 2007, il vero problema del lavoro precario – nella pubblica amministrazione e altrove – è rappresentato dal fatto che “la maggior parte dei lavoratori flessibili resta immobile nella propria condizione; quando non rischia di perdere il posto di lavoro: evento che, nel 2006, ha interessato il 12,4% dei giovani con contratto a termine e il 12% dei collaboratori a progetto o occasionali.” Gentile racconta che “nella realtà della pubblica amministrazione sempre più spesso i contratti a tempo determinato hanno una durata che va molto al di là di quanto previsto dalle norme europee. Tra l’altro, in presenza di una violazione, nel settore pubblico non si ha diritto alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato, il che comporta molti abusi. L’assenza di sanzioni spinge i rapporti di lavoro flessibili a durare nel tempo. Dopo tre anni di blocco delle assunzioni, nell’ultimo periodo si è iniziato – seppure molto parzialmente – a sbloccare i possibili turn over. Ma, effettivamente, l’allungamento dei tempi è talmente forte che è possibile che si verifichino delle uscite dal mercato del lavoro”.
Seguendo il consiglio della Funzione Pubblica siamo partiti dal servizio sanitario. Con la sanità vogliamo concludere. Se si digitano su Google le parole “precari + sanità” escono più di un milione di pagine web. Qualcuna colpisce per le storie che racconta, come il blog precarinews che pubblica una lettera scritta, qualche mese fa, da un gruppo di dipendenti precari di una Asl pugliese: “Siamo precari da più di 10 anni perché chi di dovere non è stato in grado di fare alcun concorso; non abbiamo diritto ad alcuno scatto di anzianità; siamo psicologicamente ricattabili; siamo precari che non producono nulla, fantasmi che non meritano niente; siamo fastidiosi perché troppo numerosi”. Il senso di solitudine e il timore di essere esposti al rischio di perdere il lavoro è comune tra i precari pubblici e privati. Il sindacato ha sempre rappresentato un punto di riferimento forte per il movimento dei lavoratori, ma c’è il rischio che la crescita della precarizzazione indebolisca questo legame ed “è anche per questa ragione – conclude Gentile - che ci battiamo per la stabilizzazione dei precari, vogliamo evitare che l’accesso alla pubblica amministrazione risulti un’area grigia dove contano le reti informali, le conoscenze e le parentele, dove non c’è trasparenza, piuttosto vogliamo difendere i lavoratori precari, garantire una selezione equa e la possibilità di essere assunti”.
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