«Ai miei tempi andavamo a discutere con i politici di casa nostra perché erano costretti ad ascoltarci, adesso diventa tutto più difficile». Era appena iniziato l'anno 2005 quando Pietro Ingrao pronunciava queste parole. L'argomento in discussione era l'incredibile lotta che i lavoratori delle acciaierie di Terni stavano portando avanti, forti anche della partecipazione attiva dei ternani, contro la chiusura dello storico stabilimento siderurgico.
I proprietari di quel sito sono le due famiglie tedesche Thyssen e Krupp che da quando hanno deciso di fondersi sotto un unico cappello per un unico business, sono diventati ridondanti anche in Italia. Loro è pure la fabbrica torinese dove ieri le fiamme si sono mangiate nove operai, loro è la decisione di rivoluzionare le vite dei dipendenti italiani, prima smantellando un reparto delle acciaierie ternane, poi decidendo di chiudere in toto quello torinese e di trasferire i dipendenti in Umbria. Senza mai farsi vedere, senza mai interessarsi di quali sarebbero state le conseguenze del loro volere sulla quotidianità dei loro lavoratori. Anzi, si narra che quando i delegati sindacali di Terni arrivarono in Germania per discutere il loro futuro, i dirigenti Thyssenkrupp non si degnarono neanche di procurarsi un traduttore. Un atteggiamento di totale distacco, quasi di disinteresse, per tutto quello che non sono numeri e profitto.
Dall'Italia arrivano le tabelle, in Germania si decidono le linee operative. Gli "sgherri" sul luogo poi si devono ritrovare a comunicare le decisioni prese dai vertici e a trattare con il sindacato. Fu così con Terni, quando le tute blu occuparono l'A1 con un Rademacher, presidente del comitato direttivo TK, raffigurato da Pinocchio perché era riuscito a smentirsi nell'arco di 24 ore, fu così con Torino quando dal nulla piombò la notizia che il sito sarebbe stato chiuso a breve. Funziona così per i Tk, che non amano perdere tempo. Quando sono stati costretti a incontrare i sindacati, hanno sempre fissato ora di inizio e ora di fine incontro, intoccabili anche se le trattative non portavano a nulla. E quando si sono trovati davanti una delegazione sindacale con più di un membro - come si usa in Germania - hanno sempre strabuzzato gli occhi per l'inutilità della massiccia partecipazione. Ottimizzare i tempi, ottimizzare i costi, questa è la filosofia. Non è un caso quindi che ieri nell'acciaieria torinese quando gli operai hanno cercato gli estintori per spegnere le fiamme non li abbiano trovati. Quella fabbrica sta chiudendo, è meglio iniziare a smantellare. Poco importa poi se la produzione è ancora così alta da dover chiedere gli straordinari notturni, poco importa poi se divampa un incendio e non c'è niente per domarlo. Scarso rispetto per le relazioni sindacali, scarso rispetto per i dipendenti, scarso rispetto per la vita, in fin dei conti.
Siamo tornati ieri, a quasi tre anni di distanza, da Pietro Ingrao per sentire cosa ne pensa su quanto successo. Eccolo, il suo pensiero: «Mi fa pensare come ancora adesso, che si è camminato tanto, che il controllo degli esseri umani sul fare, sul vivere, sull'organizzare la vita dei paesi e delle città, è progredito così tanto, durino ancora queste condizioni che portano a tali tragedie. Vuol dire per me che ancora noi - e in questo caso "noi" come popolo italiano e potere politico italiano - non abbiamo fatto abbastanza per questo bene cruciale che è la vita di chi lavora nel suo doppio significato: la tutela dell'esistere e la difesa di chi ogni giorno rischia sofferenza, male e persino la vita, lavorando per produrre il pane che poi mangiamo tutti. Penso che queste tragedie debbano essere un amarissimo grido d'allarme e debbano richiamarci tutti, e prima di tutto chi ha la responsabilità di governare, all'importanza che ha la tutela di questo dato elementare della vita umana, laddove impegna la sua esistenza per produrre, per guadagnare il pane di ogni giorno per sè e per tutti noi». Dal grido di dolore al senso di colpa: «Forse non facciamo abbastanza e non abbiamo fatto abbastanza per riproporre all'attenzione e ai doveri di chi comanda, nei luoghi di lavoro e nello Stato, questo tema che sta nei miei ricordi lontani quando in tanti luoghi d'Italia già tante volte abbiamo discusso e anche dovuto versare lacrime». Ma Ingrao non si limita all'Italia, nel giorno in cui oltre a Torino si muore di lavoro anche in Cina, per esempio, dove 96 minatori sono rimasti sotto le macerie, ed espande il raggio del suo allarme: «In questo momento viene alla mia mente il ricordo anche dei luoghi lontani dalla nostra patria italiana, quando lavoratori caddero e perdettero la vita. E mi chiedo quante di queste tragedie scattano ancora nel mondo, e come sia forte e sacra la grande questione che ho appreso nella mia giovinezza, prima di tutto in città operaie, come Terni per esempio, della centralità nella società in cui viviamo dell'atto lavorativo, nelle forme crudeli in cui esso vive da noi e in tante altre parti del mondo». Nell'Italia del 2007, il lavoro ha ancora tutti i problemi aperti, dalla precarietà alla mancanza di sicurezza ai bassi salari. Verrebbe da dire ironicamente "per fortuna c'è un governo di centro-sinistra": «Sì, mi sembra che anche come soggetti politici e governanti, detentori del potere, dobbiamo assumere con molta più forza questa questione bruciante della tutela di chi produce e soffre e rischia ogni giorno persino la vita nell'agire» chiude amaramente la sua riflessione Ingrao.
A Torino lunedì sarà di nuovo sciopero, l'ennesimo per un incidente mortale sul lavoro. Sì, ma per quanto tempo ancora i lavoratori dovranno restare soli in questa battaglia?
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SALGONO A QUATTRO I MORTI DELL'ACCIAIERIA MALEDETTA
TORINO - Si aggrava di giorno in giorno il drammatico bilancio dell' incendio alla ThyssenKrupp, l'acciaieria maledetta che nella notte tra mercoledì e giovedì ha trasformato in torce umane sette operai. Dopo Antonio Schiavone, 36 anni, che abitava a Envie (Cuneo) con moglie e tre figli piccoli, il più vicino alla linea 5 dell'impianto di trattamento termico dove si è sviluppato l'incendio, stamattina, poco prima delle sette, è morto Roberto Scola, 33 anni, che era stato ricoverato all'ospedale Molinette, mentre nel pomeriggio, al San Giovanni Bosco, Angelo Laurino, 43 anni, é stato stroncato da un'insufficienza multiorgano.
Entrambi avevano ustioni di terzo grado sul 95% del corpo. Questa sera al Cto di Torino, è morto anche Bruno Santino, l'operaio, che aveva 26 anni, ed era stato trasferito in giornata dall'ospedale Maria Vittoria al centro grandi ustionati del Cto.
Ultimo aggiornamento ( sabato 08 dicembre 2007 )
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