da Il Manifesto 20/12/2007
Gabriele Polo
Il governo ha rinunciato al varo del decreto sicurezza. Bene, era un testo pasticciato e pieno di schifezze un po' razziste scritte sull'onda di un terribile fatto di cronaca. Ma il ministro Chiti ne annuncia una nuova versione. Chissà che faranno. Di certo è che le norme sull'omofobia ne saranno escluse: erano il tentativo fatto dalla sinistra per «riequilibrare» un testo che guardava solo a destra: se ne parlerà in altra sede. E anche qui vedremo che ne sarà, ma di certo gli unici vincitori della partita sono la senatrice Binetti e la pattuglia teodem. Dal punto di vista politico - e temiamo anche nel merito - è l'ennesimo schiaffo a sinistra, l'ultima prova di un governo che si regge su una maggioranza di centrosinistra ma che persegue una politica di centro. Se non peggio. Di esempi - dalle pensioni al welfare, dai diritti per gli omosessuali ai rospi delle missioni militari all'estero - se ne potrebbero fare molti. Non è un problema? Crediamo di sì. Non perché ci aspettassimo un Prodi bolscevico - o semplicemente socialdemocratico - ma perché le delusioni hanno superato le peggiori aspettative. E, soprattutto, perché le persone in carne e ossa (quelle che votano e quelle che vorrebbero partecipare alla vita pubblica) giudicano sui fatti e misurano la distanza che c'è tra le enunciazioni e le azioni. Non vogliono essere imbrogliate.
Lo ricordiamo perché in questi giorni ci sono giunte parecchie critiche sulla freddezza con cui il manifesto ha seguito il difficile parto del nuovo soggetto unitario della sinistra. E' vero, siamo stati un po' «distanti», forse inadeguati. Ma, soprattutto, non siamo andati al fondo dei problemi. Che non sono solo quelli derivanti dalle continue rotture dentro la neonata creatura sui fatti della politica quotidiana (a partire dalla riforma elettorale), ma soprattutto nella distanza esistente tra la volontà di dar vita a un soggetto politico dotato di autonomia (non solo dal governo, ma dalla «cultura» che determina i suoi atti) e le pratiche quotidiane cui sono costretti i partiti che ne sono fondatori. Cosa che delude e allontana la partecipazione di migliaia di persone. Non crediamo sia per «cattiveria», ma perché è ben difficile che un'alternativa possa nascere spendendo tutte le proprie energie nella battaglia parlamentare o di governo (con risultati scarsissimi, come si è visto), senza fissare delle discriminanti di contenuto che collochino «la sinistra-l'arcobaleno» fuori e contro gli assetti di potere dati. Almeno su cinque questioni: i diritti civili degli individui, le condizioni del lavoro subordinato, la mercificazione dell'ambiente e dei beni comuni, la contraddizione di genere, la scelta pacifista. Questioni che comportano pratiche radicali e l'individuazione di un avversario: le chiese e gli integralismi, l'impresa capitalistica, il modello di sviluppo, la subcultura maschilista, chi esercita la guerra come asse delle relazioni internazionali. Su questo - almeno su questo - si misura la nascita di una cultura, di una forza alternativa, di una pratica politica. Altrimenti ci si limita a constatare (e magari sostenere) la richiesta d'unità a sinistra, senza la possibilità di renderla concreta, di darle visibilità e credibilità.
E' una strada difficile, in opposizione all'esistente, che dichiara esplicitamente l'impossibilità di alleanze subordinate a chi - come il Pd - pratica un liberismo moderato. Però è obbligatoria per un progetto che abbia respiro e futuro. Su questo il manifesto può spendersi portando in dote la propria indipendenza politica e giornalistica. Ma senza questa chiarezza ogni relazione con la «cosa» rischia di tradursi in tifo o freddezza. Che servono a poco o nulla.
Lo ricordiamo perché in questi giorni ci sono giunte parecchie critiche sulla freddezza con cui il manifesto ha seguito il difficile parto del nuovo soggetto unitario della sinistra. E' vero, siamo stati un po' «distanti», forse inadeguati. Ma, soprattutto, non siamo andati al fondo dei problemi. Che non sono solo quelli derivanti dalle continue rotture dentro la neonata creatura sui fatti della politica quotidiana (a partire dalla riforma elettorale), ma soprattutto nella distanza esistente tra la volontà di dar vita a un soggetto politico dotato di autonomia (non solo dal governo, ma dalla «cultura» che determina i suoi atti) e le pratiche quotidiane cui sono costretti i partiti che ne sono fondatori. Cosa che delude e allontana la partecipazione di migliaia di persone. Non crediamo sia per «cattiveria», ma perché è ben difficile che un'alternativa possa nascere spendendo tutte le proprie energie nella battaglia parlamentare o di governo (con risultati scarsissimi, come si è visto), senza fissare delle discriminanti di contenuto che collochino «la sinistra-l'arcobaleno» fuori e contro gli assetti di potere dati. Almeno su cinque questioni: i diritti civili degli individui, le condizioni del lavoro subordinato, la mercificazione dell'ambiente e dei beni comuni, la contraddizione di genere, la scelta pacifista. Questioni che comportano pratiche radicali e l'individuazione di un avversario: le chiese e gli integralismi, l'impresa capitalistica, il modello di sviluppo, la subcultura maschilista, chi esercita la guerra come asse delle relazioni internazionali. Su questo - almeno su questo - si misura la nascita di una cultura, di una forza alternativa, di una pratica politica. Altrimenti ci si limita a constatare (e magari sostenere) la richiesta d'unità a sinistra, senza la possibilità di renderla concreta, di darle visibilità e credibilità.
E' una strada difficile, in opposizione all'esistente, che dichiara esplicitamente l'impossibilità di alleanze subordinate a chi - come il Pd - pratica un liberismo moderato. Però è obbligatoria per un progetto che abbia respiro e futuro. Su questo il manifesto può spendersi portando in dote la propria indipendenza politica e giornalistica. Ma senza questa chiarezza ogni relazione con la «cosa» rischia di tradursi in tifo o freddezza. Che servono a poco o nulla.
Nessun commento:
Posta un commento