martedì 13 novembre 2007

Con il mio voto c'è ancora la possibilità di cambiare

da il Manifesto 11/11/2007

Paolo Ferrero *

Vorrei brevemente rispondere alle cose dette dal mio amico Gigi Sullo sul manifesto di giovedì scorso, anche perché quei quesiti e quelle domande hanno attraversato la discussione di tanti compagne e compagni negli ultimi giorni. E' infatti evidente che la scelta più normale per il sottoscritto sarebbe stata quella di non votare il decreto, ma non sempre la cosa più semplice è quella migliore.
Gigi dice che se avessi votato no, oggi, in un contesto di proteste di settori liberali, di ripresa della parola da parte del tessuto associazionistico sui territori, e di possibile modifica del decreto da parte della maggioranza, avrei potuto dire: «solo io avevo capito, ho tenuto fermo un principio e ho avuto ragione».
Secondo me Gigi non si rende conto che oggi si può modificare il decreto proprio perché ho votato sì e che se invece avessi votato no, le cose sarebbero diverse e assai peggiori. Un mio voto negativo avrebbe spalancato le porte a un accordo bipartisan che in nome dell'emergenza criminalità metteva insieme il Partito democratico e la destra. Di fronte a un mio voto contrario il Pd, la destra e mass media avrebbero detto che era necessaria un'intesa tra i poli «perché la sicurezza degli italiani non può mica essere messa in pericolo dalle idee balzane di un ministro comunista!».
Il decreto sarebbe stato modificato in peggio, sulla base delle proposte del Polo e quell'accordo avrebbe avuto una forza enorme non solo sul piano parlamentare e mediatico ma anche nel riscontro di massa, mettendoci in un angolo sul piano sociale. Fantapolitica? Chiunque abbia visto anche solo di sfuggita alcune delle trasmissioni televisive serali dei giorni scorsi ha potuto apprezzare di persona come non si trattasse di fantasie. Cosa meglio di una grande coalizione per far passare delle norme repressive in nome della sicurezza collettiva e dell'emergenza criminalità per poi magari arrivare in primavera a un bel referendum sulla legge elettorale che sulla base di un bel plebiscito popolare tolga di mezzo i rompipalle?
Ecco, credo che quel sì, travagliato e discutibile, in Consiglio dei ministri, abbia tenuto aperta la strada per ostacolare un tale progetto, lasciando alla sinistra lo spazio di manovra nel quale ci stiamo muovendo per modificare il decreto nella direzione indicata in questi giorni dai giuristi e da coloro che nelle associazioni come nelle parrocchie lavorano da sempre per l'inclusione dei migranti. La possibilità di modificare il decreto in Parlamento, in sintonia con la Costituzione, la direttiva europea e l'antirazzismo, è data proprio dal fatto che il Prc non si è messo fuori dalla partita da solo e che oggi esiste ancora l'Unione e il governo, altrimenti tutta la questione sarebbe stata giocata nel dialogo tra Pd e Fini.
Infine, tre punti, non certo secondari.
Il drammatico sgombero con le ruspe di alcuni insediamenti, specie nelle grandi città, è proprio del clima isterico in cui è nato il decreto. Esattamente come è avvenuta la mediatizzazione della paura per la tragedia che si era consumata a Tor di Quinto che Rossanda ha giustamente richiamato nel suo editoriale di giovedì scorso. Un voto contrario purtroppo non avrebbe impedito questo.
In secondo luogo gli emendamenti al decreto sono ora presentati da tutta la sinistra, e non solo dal Prc. Se la cosa si fosse chiusa la sera del 31 ottobre tra polemiche e divisioni questo sarebbe stato un po' più difficile.
Inoltre credo di poter dire che l'esito di un mio «no» sarebbe stato irreversibile, mentre il mio «sì» ha lasciato aperta ogni possibilità. E' infatti evidente che se non fossimo riusciti a tenere aperta la partita della modifica del decreto, Rifondazione avrebbe potuto sconfessare il mio voto favorevole, mentre un mio voto contrario e la dinamica bipartisan che ne sarebbe seguita avrebbe determinato da sola gli esiti - anche politici - della vicenda. Oggi decidiamo noi cosa fare, se avessi votato no avrebbero deciso solo altri e non sarebbero state buone decisioni, né per noi né per i rom. Questo richiama per me un punto essenziale nel fare politica. Ogni dirigente sa che ci sono passaggi in cui devi piantare la bandiera e dire no e ci sono passaggi in cui devi fare un passo indietro oggi - per evitare di essere spazzato via - e poter riprendere il cammino il giorno dopo. Lo sa la compagna o il compagno che opera in un comitato di base, lo deve sapere un ministro. In quella mezz'oretta in cui mercoledì sera ho dovuto decidere cosa fare, a questo ho pensato. Visto che il decreto lo cambiamo, credo di non aver pensato male.
* ministro della Solidarietà sociale

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