da Liberazione 28/09/2007
Andrea Colombo
Romano Prodi è al bivio. Deve decidere non nei prossimi mesi o nelle prossime settimane ma nelle prossime ore: quelle che lo separano dal varo della finanziaria. Le richieste della Sinistra non sono estreme, radicali o massimaliste. Sono ragionevoli e costruttive. Tali, del resto, le hanno considerate tutte le forze dell'Unione, moderati e moderatissimi inclusi, al momento di inserirle nel programma della coalizione o di votare, non più tardi di due mesi fa, Dpef e relative risoluzioni.
Non si tratta di ingaggiare un braccio di ferro sindacale su questo o quello dei 18 punti presentati dalla Sinistra nella sua proposta per la Finanziaria. Si tratta piuttosto di scegliere tra alternative di fondo. Quella tra la prosecuzione di una strategia che punta tutto sulla competitività dei prezzi, e pertanto premia solo le imprese sdegnando il resto, o l'imbocco di una via diversa che punta invece sulla qualità e sulla ricerca per garantire al paese sviluppo e competitività. Quella tra il privilegiare ancora una volta le fasce già superprivilegiate, con le solite imprese in cima alla lista, o invece iniziare a restituire qualcosa ha chi da decenni molto ha perso e moltissimo ha pagato.
Non è una disquisizione accademica. Riguarda al contrario scelte concretissime: verso quali lidi indirizzare i fondi a disposizione; da dove far partire quell'alleggerimento della pressione fiscale che tutti ritengono indispensabile, se dagli sgravi per le aziende o dalla restituzione del fiscal drag ai soliti bastonati; come calibrare l'intervento sull'Ici, se partendo dalle fasce basse oppure fingendo che non esista differenza alcuna all'interno della categoria, indistinta e generica, dei "proprietari di case".
Per un governo pur moderatamente di centrosinistra, la scelta si sarebbe dovuta porre subito, al momento di varare la prima legge di bilancio. Fu dribblata l'anno scorso in nome della prioritaria esigenza di risanare i conti pubblici, e i risultati di quella decisione si sono fatti sentire forti e chiari. La delusione si è diffusa a macchia d'olio. La popolarità del governo è precipitata: a un anno di distanza palazzo Chigi non riesce neppure a rallentare la picchiata.
Nessun alibi, stavolta, può consentire a Prodi di rinviare ancora. O meglio, il rinvio sarebbe di per sé una scelta. Tanto eloquente da non aver nemmeno bisogno di essere dichiarata.
E' anche possibile che a spiegare alcune recenti mosse del premier negli ultimi giorni valgano considerazioni di ordine diverso, vicine più alla lotta per la sopravvivenza quotidiana che alle strategie politiche di ampio respiro. E' possibile che il presidente del consiglio ritenga oggi più pericoloso e minaccioso Lamberto Dini di quanto non sia una Sinistra che sull'esperienza dell'Unione ha scommesso molto, e pertanto è di necessità più paziente e responsabile di chi, come il suddetto Dini, ha pochissimo da perdere.
Anche da questo punto di vista Prodi è a un bivio. Deve decidere non solo tra la Sinistra e la spregiudicata costellazione di microgruppi "moderati", ma tra il difendere la ragion d'essere di un'alleanza di centrosinistra e una navigazione di piccolo cabotaggio, il tentativo di sopravvivere cedendo puntualmente ai ricatti delle fazioni più ciniche e dei poteri più forti. Dovrebbe farlo, però, senza illudersi che la seconda scelta possa portarlo molto lontano, e magari tenendo presente che, in questo caso, il crollo sarebbe devastante non solo per lui ma per l'intera sinistra di questo paese. Non esclusa quella più moderata
sabato 29 settembre 2007
Prodi al bivio: tenersi la sinistra o la finanziaria di Montezemolo?
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