di C.M.
su Liberazione del 28/09/2007
L'allarme dalla conferenza europea sulla flessibilità
I precari? Restano nell'invisibilità. La notizia lanciata dalla conferenza europea promossa nella facoltà di scienze delle comunicazione della Sapienza di Roma in collaborazione con l'Eurispes non è certo di poco conto. «Neppure l'Istat - denuncia il professor Di Nardo - riesce a calcolare il numero dei precari del mondo del lavoro». Il perché è presto detto. «Ci sono talmente tante variabili da considerare che il maggiore istituto di statistica italiano non è ancora in grado di computarle». Cosa che evidentemente non accade altrove nel resto d'Europa. Così in Francia, in Irlanda, le esperienze che si registrano sono ben lontane dalla situazione fotografata nel nostro Paese. E' proprio questo che emerge dalla prima delle due giornate di convegno che ha tentato - spiega ancora il presidente Eurispes Gian Maria Fara - «di mettere in rete le varie esperienze per trarne profitto». E di lavoro, del rapporto flessibilità/precarietà e delle strategie da mettere in atto a livello europeo e nazionale si è discusso ieri a tutto campo con economisti, docenti, imprenditori, per tentare di dare risposte a quello che ormai si aggira per l'Europa: «Lo spettro della precarietà».
In Italia il dramma - dicono gli esperti - si fa non solo tragicamente economico «ma esistenziale». Perché coinvolge un'intera generazione di giovani, e non solo, costretti ad accettare uno "status vivendi" a cui la politica non riesce ancora a trovare risposte e strategie adeguate. I dati del secondo rapporto dell'osservatorio permanente sul lavoro atipico in Italia, diffusi ieri, sono lì a dimostrarlo. Basati sugli afferenti alla gestione separata Inps i lavoratori subordinati (atipici, precari) in Italia sono più di un milione e mezzo. Destinati ad aumentare. Rispetto al 2005 si sono registrati quasi 54mila soggetti in più. Il numero di lavoratori a rischio precarietà dunque aumenta. E purtroppo rispetto al totale degli iscritti in questo contesto le donne continuano ad occupare una posizione svantaggiata. Costituiscono - si legge nella sintesi - la maggioranza dei soggetti a rischio di precarietà (57,27% in ogni gruppo) e percepiscono mediamente appena 6.800 euro l'anno. Quello dei parasubordinati resta un universo eterogeneo, costituito principalmente da due grandi gruppi professionali che si differenziano sostanzialmente per la condizione reddituale e per la tipologia dei lavori svolti. Da una parte si hanno gli amministratori, i sindaci di società, i partecipanti a commissioni, dall'altra parte si ha la galassia dei collaboratori a vario titolo, più gli associati in partecipazione. L'età media si è altresì abbassata, ma il lavoro parasubordinato resta «una gabbia - denuncia ancora l'osservatorio - che accompagna sino all'età adulta». Non è un caso che gli stessi collaboratori a progetto abbiano un'età media superiore a 36 anni. Per finire: in questo contesto si palesa la condizione delle donne. Una posizione «a dir poco svantaggiata poiché costituiscono la maggioranza dell'insieme dei lavoratori atipici monoreddito». «Ci si trova - denuncia il rapporto - di fronte ad una vera discriminazione di genere» a cui porre necessariamente rimedio.
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