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di Maurizio Pagliassotti
Due uomini buttati dentro la stiva di una nave container a recuperare rimasugli di grano sono rimasti asfissiati dalle esalazioni tossiche che hanno trovato, stroncati da una rapida agonia. Le due vittime erano due lavoratori esperti. «Non un incidente ma un omicidio. Una vicenda che dimostra come sia impossibile combattere lo stillicidio di morti bianche senza cambiare volto al lavoro, divenuto precario, povero, merce di scambio tra le imprese, pura variabile dei profitti». Questo il commento del senatore Prc Claudio Grassi. Duro anche Paolo Ferrero, ministro delle solidarietà sociale: «Bisogna finirla con le lacrime di coccodrillo». Già in occasione del disastro TK il ministro aveva detto chiaramente che molti fra quelli che piangono adesso sguazzano nei profitti che derivano dalla mancanza di sicurezza.
I due operai - Denis Zanon veneziano di 40 anni, appartenente alla Cooperativa nuova CLP di Marghera e Paolo Ferrara, padovano di 52 anni, dipendente della ditta ICCO con sede a Dosson di Casier - erano addetti alla pulizia della pancia delle navi: un lavoro molto pericoloso perché da svolgere all'interno di ambienti vastissimi che talvolta possono saturarsi di gas derivanti da incontrollabili fermentazioni.
Quando questo accade l'ossido di carbonio, o altri gas, tendono a concentrarsi nella parte bassa delle stive e chi entra in contatto con essi perde i sensi in pochi secondi. Proprio il grano è particolarmente pericoloso in quanto oltre a fermentare produce una grande quantità di polvere che priva di visibilità l'ambiente in cui muovono gli operatori. I cereali in genere inoltre necessitano di gassificazione con sostanze chimiche tossiche che evitano il moltiplicarsi di parassiti. Dopo queste operazioni le stive devono essere areate per almeno 48 ore. Non è dato sapere se tutte le norme sulla sicurezza siano state eseguite.
In caso di incidente il recupero può diventare una trappola perché necessita di maschere antigas che talvolta non sono disponibili. Chi tenta coraggiosamente di portare soccorso senza protezioni al primo "ferito", rischia anch'esso l'asfissia: infatti un terzo operatore è in fin di vita proprio perché ha tentato una disperata manovra di salvataggio senza bombola d'ossigeno.
Secondo fonti interne verso l'una di ieri notte i due operai si sono calati nella stiva con una ruspa cingolata collegata a una gru sulla banchina. Il gas presente sul fondo li ha uccisi in pochi minuti. Accertamenti fatti ieri subito dopo la sciagura dai Vigili del Fuoco, intervenuti col nucleo Nbcr, batteriologico, chimico e radiottivo, hanno rilevato una presenza di ossigeno pari al 5% contro un minimo per la sopravvivenza del 17%. Non c'era nessuna possibilità di scampo. Pare che un primo tentativo di soccorrere i due operai sarebbe andato a vuoto a causa di una bombola di ossigeno scarica. La Procura di Venezia ha aperto un'inchiesta.
Il parallelo con la vicenda ThyssenKrupp corre sulla bocca di tutti i lavoratori che si sono riversati fuori dalla zona industriale per protestare. Si tratta di due situazioni molto diverse però. L'acciaieria torinese era una entità singola, delimitata anche fisicamente, più controllabile quindi. Porto Marghera, grande cento volte più che la TK di Torino, appare come una terra di nessuno. Non ci sono le tute blu che entrano e escono, bensì una miriade di lavoratori inquadrati chissà come e da chissà chi: il regno del subappalto. Basta vedere i volti di chi sta occupando una parte del porto per capire come va l'andazzo: sono tutti italiani. Mancano quindi gli immigrati, la carne da cannone che non è uscita a protestare, schiavi retribuiti (non sempre) che vivono come invisibili all'interno del mega complesso industriale. L'europarlamentare Roberto Musacchio ha presentato un'interpellanza presso il parlamento europeo che mira al cuore del problema: «Domando se le norme di liberalizzazione del lavoro in materia di attività portuale previste dalle direttive europee e dalle leggi degli stati membri non siano palesemente in contrasto con l'esigenza di garantire la sicurezza del lavoro quale assoluta priorità come ancora ribadito solo due giorni fa con il voto in aula a Strasburgo del rapporto (Rapporto Wilmott ) sulla sicurezza del lavoro».
La protesta dei lavoratori è scattata appena la notizia della tragedia si è diffusa ed ha coinvolto buona parte dei porti italiani Un corteo ha occupato le banchine del porto bloccando tutta l'attività di carico e scarico merci. Successivamente è uscito dallo stabilimento paralizzando le strade che arrivano al complesso industriale. Si sono formate code chilometriche di camion e auto ed il famigerato passante di Mestre è incorso in una giornata campale.
La tragedia, e la relativa esasperazione dei lavoratori, si inserisce in un contesto molto teso anche a causa della trattativa dei metalmeccanici che non trova soluzioni.
«Ci mandano a morire tutti i giorni e non vogliono darci quattro soldi in più. Questi sono i padroni! Ora basta». Questi i commenti che si potevano sentire ieri tra i manifestanti che picchettavano le entrate allo stabilimento. Le testimonianze che raccontano la vita all'interno del porto fanno tornare alla memoria condizioni lavorative che si pensavano superate da un secolo. E poi la denuncia più agghiacciante: molti infortuni verrebbero taciuti. Minacce, ma anche promesse e lusinghe, indurrebbero molti lavoratori, soprattutto immigrati, a non presentarsi presso gli ospedali per le cure necessarie.
Il 29 gennaio si svolgerà un'assemblea unitaria dei quadri e dei delegati sindacali (tutte le sigle) per decidere le ulteriori iniziative da intraprendere a sostegno della sicurezza nei porti.
L'aria che si respirava ieri fuori da Porto Marghera, ma anche presso i cantieri navali di Monfalcone, fa presagire che i prossimi giorni saranno ricchi di proteste spontanee. Forse già oggi ci saranno nuovi blocchi stradali.
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