di Carlo Marrapodi
Sono un operaio della Thyssenkrupp e dal giorno delle fiamme dormo un'ora per notte.
Sono tornato in Calabria, nel paese dove sono nato, sperando di ritrovare un po' di pace dopo i cortei, i funerali, le telecamere sempre addosso. E invece mi ritrovo isterico perso, passo le giornate a letto o camminando per i monti cercando di capire quello che è successo. Anche noi sopravvissuti siamo vittime di quel rogo.
Ero emigrato cinque anni fa da questo paesino in provincia di Reggio Calabria per non finire nei giri sbagliati, non volevo la Mercedes né la jacuzzi o fare le vacanze alla beauty farm. Volevo un lavoro onesto. Sono arrivato a Torino, un po' spaesato all'inizio ma poi sono stato assunto all Thyssenkrupp, ho affittato una casina carina che poco a poco ho migliorato, l'ho arredata con delle statuine, ho cominciato a a fare teatro perché mica si può vivere di sola acciaieria.
E invece questi maledetti ci hanno rubato quel poco di serenità che avevamo conquistato.
Comincio a pensare che ho fatto male ad andarmene dalla Calabria, chi era partito molti anni prima di me era riuscito a farsi il mutuo e a comperarsi la casa, per non parlare di chi si è dato al malaffare e ha un sacco di soldi. Io col mio stipendio a malapena arrivo alla fine del mese ed è stato un miracolo se sono riuscito a comperarmi una macchinina usata. Ora che ci vogliono mettere in cassintegrazione ci daranno 600 euro in meno, come faremo a campare?
In questi giorni penso ai compagni morti, avevano dei figli: perché non sono morto io al posto loro? Cosa avrei perso? Cinque ore prima dell'incendio c'ero io alla linea 5, se sono vivo devo trovare una ragione.
Ho una rabbia dentro, specialmente contro chi ci dice: ma perché non protestavate per le condizioni di lavoro? E io rispondo che eravamo dei poveracci che dovevano portare a casa lo stipendio, ognuno ha i suoi conti da pagare a fine mese. E poi quale lavoro avrei dovuto cercare con la mia terza media? Se avessi potuto avrei fatto il sindaco, ecco cosa rispondo.
Io dico che la Thyssenkrupp non soltanto non aveva il diritto di ammazzare sette persone, ma non aveva nemmeno il diritto di farci vivere quello che abbiamo vissuto prima dell'incidente, le angherie dei capi che ci volevano in ginocchio, la cafonaggine dei manager che ci vedevano come bulloni da trasportare a Terni insieme ai macchinari, ci volevano servili come degli schiavi. La sera non rientravo a casa con il sentimento di aver guadgnato la giornata ma col veleno dentro, per come ci trattavano. E gli rispondevo, a quelli: «I miei genitori hanno faticato molto per farmi crescere, lei non può rivolgermi la parola in questo modo». Ma quelli della palazzina di fronte, come chiamo i capi, pensavano soltanto a non fermare il rullo. Quella era la priorità.
E' una vita più amara di quanto mi potessi immaginare.
Ora non so come sarà il mio futuro. Hanno tolto la dignità del lavoro alla classe operaia, hanno fatto delle leggi che daranno anche meno disoccupazione ma tolgono dignità perché sei continuamente ricattabile. Ci vogliono ricollocare in un'altra azienda ma a me la parola "azienda" fa paura perché non mi fido più di questo sistema, come potrei nuovamente lavorare in una fabbrica dove sono esposto continuamente al rischio di morire? Cambiando azienda non cambierebbe la mentalità dei padroni, che per ingordigia risparmiano sulla sicurezza e ci mandano al macello.
Mi sento carne da macello.
Per cinque anni non ero più Carlo ma un numero: 722775, il mio numero di matricola che spero di dimenticare al più presto. E allora penso che potrei tornare nella mia casetta di Torino, rivedere i miei amici, cercare un lavoro che non sia l'operaio. Ma ho 30 anni, devo cominciare a marciare veloce perché gli anni passano, vorrei comperarmi una casa e magari mettere su famiglia ma se questi sono gli stipendi sarà quasi impossibile.
Lasciate a noi operai i funerali, i cortei, la fascia nera al braccio e le lampadine spente del Colosseo in ricordo degli operai morti. I politici non vengano, si mettano a lavorare per tirarci fuori da questa condizione. Questa è la loro unica missione, non dimenticarci. Prodi è venuto ai funerali, e va bene, sono venute le telecamere e i giornalisti, va tutto benissimo: ma il mestiere della politica non è commemorare i morti. E' passato quasi un mese e ancora non sappiamo se saremo in cassintegrazione, se torneremo a lavorare.
E' passato quasi un mese e passo le giornate a mangiarmi il cervello pensando ai morti e al nostro futuro.
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