da Il Manifesto 15/12/2007
Galapagos
Un fantasma si aggira per l'Europa. Purtroppo non è quello del comunismo, ma è l'inflazione che in novembre ha fatto un balzo all'insù al 3,1% e sicuramente nei prossimi mesi crescerà ancora. Non è buono: a rimetterci saranno i lavoratori, i pensionati e più in generale chi sopravvive a un reddito fisso. L'Italia è un po' sotto quel 3,1% della media europea: è al 2,6%. Ma anche di questo c'è poco da rallegrarsi: è il segnale di una economia che cresce poco e che il prossimo anno, assieme agli Usa potrebbe trovarsi in una situazione di stagflaction, di inflazione (magari moderata) accompagnata da ristagno dell'economia.
Federico Caffè ci ha insegnato (faceva l'esempio di Israele) che l'inflazione accompagnata da forte crescita economica è buona cosa. L'importante che ci sia una classe operaia forte e combattiva capace di recuperare il potere d'acquisto e spingere gli imprenditori a investire per recuperare, grazie al progresso tecnico, produttività. Ma oggi la situazione in Italia (ma anche nel resto d'Europa)è diversa: i lavoratori non sembrano in grado di imporre alcunché. La forza lavoro è frammentata e precarizzata e non c'è più nemmeno uno straccio di scala mobile a consentire un recupero parziale e ritardato del potere d'acquisto dei salari.
E c'è anche di peggio: l'unica istituzione europea che funzioni è oggi la Bce. Un paio di giorni fa da Francoforte hanno mandato a dire che se i salariati proveranno a rialzare la testa, loro sono pronti a intervenire manovrando i tassi all'insù, come d'altra parte hanno già fatto negli ultimi due anni. In questo modo i lavoratori perderanno non solo sul fronte della distribuzione del reddito (perché rendite e profitti, in ogni caso possono guadagnare anche con l'inflazione) ma anche sul fronte di spese ormai necessarie come ad esempio le rate dei mutui.
Ieri Ferrero ha proposto il blocco dei prezzi, il ritorno dei prezzi amministrati per alcuni prodotti e sgravi fiscali per il lavoro dipendente. Buona cosa, ma non basta. Il problema è arginare l'inflazione alle origini. E le origini sono nelle speculazioni del sistema finanziario (che si è impadronito in molti paesi del welfare) che casca sempre in piedi, come dimostra l'intervento delle 5 maggiori banche centrali mondiali per rifinanziare il sistema creditizio nei guai per la crisi dei mutui subprime. Occorre che la politica prenda il posto delle banche centrali. Altrimenti sono guai. L'unica ricetta che viene praticata per combattere l'inflazione è di spingere sul freno della crescita: la recessione è da sempre la cura di tutti i mali. Possibile che il sistema globale non riesca a immaginare un modello di sviluppo differente? Il prezzo del petrolio è alle stelle perché viviamo un modello di sviluppo distorto nel quale l'alternativa ai carburanti tradizionali sono solo i biocarburanti che però depredano l'agricoltura e gettano nella fame miliardi di persone. Certo, «un altro mondo è possibile», ma - Bali insegna - la realizzazione non può essere affidata ai potenti del mondo.
Federico Caffè ci ha insegnato (faceva l'esempio di Israele) che l'inflazione accompagnata da forte crescita economica è buona cosa. L'importante che ci sia una classe operaia forte e combattiva capace di recuperare il potere d'acquisto e spingere gli imprenditori a investire per recuperare, grazie al progresso tecnico, produttività. Ma oggi la situazione in Italia (ma anche nel resto d'Europa)è diversa: i lavoratori non sembrano in grado di imporre alcunché. La forza lavoro è frammentata e precarizzata e non c'è più nemmeno uno straccio di scala mobile a consentire un recupero parziale e ritardato del potere d'acquisto dei salari.
E c'è anche di peggio: l'unica istituzione europea che funzioni è oggi la Bce. Un paio di giorni fa da Francoforte hanno mandato a dire che se i salariati proveranno a rialzare la testa, loro sono pronti a intervenire manovrando i tassi all'insù, come d'altra parte hanno già fatto negli ultimi due anni. In questo modo i lavoratori perderanno non solo sul fronte della distribuzione del reddito (perché rendite e profitti, in ogni caso possono guadagnare anche con l'inflazione) ma anche sul fronte di spese ormai necessarie come ad esempio le rate dei mutui.
Ieri Ferrero ha proposto il blocco dei prezzi, il ritorno dei prezzi amministrati per alcuni prodotti e sgravi fiscali per il lavoro dipendente. Buona cosa, ma non basta. Il problema è arginare l'inflazione alle origini. E le origini sono nelle speculazioni del sistema finanziario (che si è impadronito in molti paesi del welfare) che casca sempre in piedi, come dimostra l'intervento delle 5 maggiori banche centrali mondiali per rifinanziare il sistema creditizio nei guai per la crisi dei mutui subprime. Occorre che la politica prenda il posto delle banche centrali. Altrimenti sono guai. L'unica ricetta che viene praticata per combattere l'inflazione è di spingere sul freno della crescita: la recessione è da sempre la cura di tutti i mali. Possibile che il sistema globale non riesca a immaginare un modello di sviluppo differente? Il prezzo del petrolio è alle stelle perché viviamo un modello di sviluppo distorto nel quale l'alternativa ai carburanti tradizionali sono solo i biocarburanti che però depredano l'agricoltura e gettano nella fame miliardi di persone. Certo, «un altro mondo è possibile», ma - Bali insegna - la realizzazione non può essere affidata ai potenti del mondo.
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