il Manifesto 20/10/2007
Alla vigilia delle assemblee della Banca mondiale e del Fondo monetario, nuovo record per il greggio oltre quota 90. Ma quota 100 non è improbabile, sostengono gli esperti. Anche perché la moneta Usa prosegue la sua corsa al ribasso. Le borse vanno a picco
Maurizio Galvani
Due mesi fa era stata la crisi - ancora non conclusa - dei mutui subprime a gettare nel panico i mercati finanziari. Ma oggi due altri problemi agitano i sonni dei vertici finanziaria mondiali: la crisi senza fondo del dollaro e l'impennata del petrolio. Sono questi i temi dei quali discuteranno l'assemblea del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale che si tiene a Washington. Soprattutto se ne discuterà nel vertice dei Sette Grandi - il G7 dei ministri finanziari - che si è aperto ieri sera nella capitale statunitense. I problemi non sembrano di facile soluzione: secondo molti esperi il petrolio potrebbe in un periodo breve schizzare addirittura a 100 dollari al barile, mentre il dollaro potrebbe scivolare a 1,50 sull'euro.
Ieri, l'euro ha toccato la quota record di 1,4319 dollari per poi «retrocedere» a 1,4295 dollari. Il greggio, invece, è volato a 90,07 dollari al barile nella serata di giovedì, per fissarsi a 88,47 dollari al barile sul mercato dei future di New york. La corsa all'insù del petrolio sembra inarrestabile ed ha differenti cause tra le quali, l'offensiva militare della Turchia e dell'Iraq contro la popolazione turca - che potrebbe mettere a rischio i campi petroliferi - e, per il quotidiano inglese «Financial times», l'aumento provocato dagli speculatori (ad esempio gli hedge fund) che vogliono trarre vantaggio dalla domanda di energia sempre abbastanza sostenuta. Sul che fare per bloccare questo rialzo si spendono diverse ipotesi. Che ci sia a breve un possibile aumento delle estrazioni da parte dell'organizzazione dei paesi produttori dell'Opec - a cui ha chiede di rientrare da 13°aderente l'Equador - che tuttavia manifestano la loro resistenza. Oppure ci sono gli auspici a parole della Casa Bianca «di avere prezzi più bassi».
Sul capitolo dei rapporti dei cambi, invece, è un problema l'andamento del dollaro, il cui valore molti ancora considerano troppo elevato. Il biglietto verde ha dato fiato alla bilancia commerciale, allo stesso tempo, molti capitali (circa 63 milioni di dollari) sono già fuggiti dal mercato nordamericano in queste settimane. Il fuoco si concentra verso la politica monetaria cinese. Come in altri incontri del G7 - all'unisono - i ministri finanziari e i governatori dlle banche centrali (per l'Italia sono presenti sia il ministro Tommaso Padoa Schioppa che il governatore Mario Draghi) chiedono una rivalutazione dello yuan. In questi 12 mesi, la moneta cinese si è apprezzata del 3,8% circa nei confronti del dollaro ma è, ancora, sottovalutata rispetto all'euro e allo yen; tanto da creare problemi all'export. A Washington il segreatrio al tesoro Usa Henry Paulson e il presidente della Fed, Ben Bernanke, continuano a giurare che l'amministrazione non segue «la politica del dollaro debole». Il secondo, ai margini di questo vertice, ha sostenuto che «la Fed non deve reagire alla pubblicazione di certi dati economici». Riconsegnando al silenzio il mistero di quale decisione potrà prendere la banca centrale sui tassi di interesse, nel prossimo incontro del 31 ottobre.
La riunione del G7 prende anche in visione il Rapporto compilato da una commisione - presediuta dal governatore Mario Draghi - sulla situazione finziaria e i suoi attori. Ci sono molte incertezze su quello occorrebbe fare per prevenire l'attività di certi soggetti che gesticono capitali a rischio, come ha ben evidenziato il crollo dei subprime o di altri derivati. In passato, già, questo comitato di esperti ha accettato la tesi dell'innovazione e dell'aiuto al mercato di taluni alcuni interlocutori tipo gli hedge fund. Intanto, all'incontro della Ue, l'inglese Gordon Brown, la tedesca Angela Merkel ed il francese Nicola Sàrkozy hanno chiesto «maggiore trasparenza sui mercati e sui prodotti finanziari».
Con un certo ritardo è stata avanzata la richiesta «di un sistema di allerta preventivo» da parte del premier inglese Gordon Brown. Una posizione coerente per la Banca d'Inghilterra che - con il consenso del goveno - ha salvato la Northern Rock Bank, ad un passo dell'insolvenza.
Ieri, l'euro ha toccato la quota record di 1,4319 dollari per poi «retrocedere» a 1,4295 dollari. Il greggio, invece, è volato a 90,07 dollari al barile nella serata di giovedì, per fissarsi a 88,47 dollari al barile sul mercato dei future di New york. La corsa all'insù del petrolio sembra inarrestabile ed ha differenti cause tra le quali, l'offensiva militare della Turchia e dell'Iraq contro la popolazione turca - che potrebbe mettere a rischio i campi petroliferi - e, per il quotidiano inglese «Financial times», l'aumento provocato dagli speculatori (ad esempio gli hedge fund) che vogliono trarre vantaggio dalla domanda di energia sempre abbastanza sostenuta. Sul che fare per bloccare questo rialzo si spendono diverse ipotesi. Che ci sia a breve un possibile aumento delle estrazioni da parte dell'organizzazione dei paesi produttori dell'Opec - a cui ha chiede di rientrare da 13°aderente l'Equador - che tuttavia manifestano la loro resistenza. Oppure ci sono gli auspici a parole della Casa Bianca «di avere prezzi più bassi».
Sul capitolo dei rapporti dei cambi, invece, è un problema l'andamento del dollaro, il cui valore molti ancora considerano troppo elevato. Il biglietto verde ha dato fiato alla bilancia commerciale, allo stesso tempo, molti capitali (circa 63 milioni di dollari) sono già fuggiti dal mercato nordamericano in queste settimane. Il fuoco si concentra verso la politica monetaria cinese. Come in altri incontri del G7 - all'unisono - i ministri finanziari e i governatori dlle banche centrali (per l'Italia sono presenti sia il ministro Tommaso Padoa Schioppa che il governatore Mario Draghi) chiedono una rivalutazione dello yuan. In questi 12 mesi, la moneta cinese si è apprezzata del 3,8% circa nei confronti del dollaro ma è, ancora, sottovalutata rispetto all'euro e allo yen; tanto da creare problemi all'export. A Washington il segreatrio al tesoro Usa Henry Paulson e il presidente della Fed, Ben Bernanke, continuano a giurare che l'amministrazione non segue «la politica del dollaro debole». Il secondo, ai margini di questo vertice, ha sostenuto che «la Fed non deve reagire alla pubblicazione di certi dati economici». Riconsegnando al silenzio il mistero di quale decisione potrà prendere la banca centrale sui tassi di interesse, nel prossimo incontro del 31 ottobre.
La riunione del G7 prende anche in visione il Rapporto compilato da una commisione - presediuta dal governatore Mario Draghi - sulla situazione finziaria e i suoi attori. Ci sono molte incertezze su quello occorrebbe fare per prevenire l'attività di certi soggetti che gesticono capitali a rischio, come ha ben evidenziato il crollo dei subprime o di altri derivati. In passato, già, questo comitato di esperti ha accettato la tesi dell'innovazione e dell'aiuto al mercato di taluni alcuni interlocutori tipo gli hedge fund. Intanto, all'incontro della Ue, l'inglese Gordon Brown, la tedesca Angela Merkel ed il francese Nicola Sàrkozy hanno chiesto «maggiore trasparenza sui mercati e sui prodotti finanziari».
Con un certo ritardo è stata avanzata la richiesta «di un sistema di allerta preventivo» da parte del premier inglese Gordon Brown. Una posizione coerente per la Banca d'Inghilterra che - con il consenso del goveno - ha salvato la Northern Rock Bank, ad un passo dell'insolvenza.




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